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IL CONTRIBUTO DEGLI ANNIVERSARI

(autore: František Hruška)

Gli italiani, che nel corso della prima guerra mondiale appoggiavano la lotta delle nazioni slave per la libertà, sono stati ispirati dal messaggio di Giuseppe Mazzini sul rispetto delle nazioni, piccole o grandi che siano, in contrasto con la politica imperialista.

Un insieme di circostanze ha fatto sì che i grandi punti di svolta nella nostra storia siano accaduti negli anni che finiscono con il numero otto (basti pensare al 1918 o il 1968). Negli ultimi cento anni ce ne sono stati talmente tanti che l’anno scorso non sapevamo a che cosa dedicare maggiore attenzione. Alla fine l’attenzione maggiore si è concentrata sulla fine della prima guerra mondiale anche perché si tratta di un punto di svolta di tutta l’Europa, che ha portato alla nascita dello Stato indipendente dei cechi e degli slovacchi.

La stampa e la televisione si sono concentrate soprattutto sulle manifestazioni ufficiali, deposizioni di corone e discorsi dei politici, che hanno ricordato alla nazione le opinioni radicate al riguardo di tali eventi e la loro importanza per la vita successiva della società. Gli storici e coloro che del passato si interessano un po’ di più hanno avuto l’occasione di osservare più attentamente la storia che risale a cento anni fa, perché infatti era più complessa, più contraddittoria e meno univoca rispetto alla memoria collettiva delle nazioni. Sono stati pubblicati nuovi libri mentre i giornali pubblicavano articoli sui fatti e contesti meno noti. L’importanza degli eventi ha fatto sì che ciò sia accaduto non soltanto da noi, ma anche in altri paesi d’Europa. Per noi (slovacchi) ciò è stato importante per due motivi. Da una parte gli articoli hanno spesso riportato informazioni di cui non eravamo a conoscenza e allo stesso tempo hanno contribuito ad una maggiore informazione sulle nostre nazioni, che solo allora sono apparse sul palcoscenico della storia mondiale.

Tra queste pubblicazioni rientra anche il libro dello storico italiano Francesco Leoncini Alternativa mazziniana (in slovacco Mazziniovská alternatíva), uscito l’anno scorso presso la casa editrice Castelvecchi di Roma. A marzo 2019 l’Istituto Italiano di Cultura ha organizzato, presso la Biblioteca Universitaria di Bratislava, un seminario/conferenza alla presenza dell’illustre autore.

La Giovane Europa

Leoncini parte dal presupposto che l’Italia entrò in guerra contro due avversari. Da una parte l’Impero Austro-ungarico dall’altra le nazioni slave che erano al suo interno. Il patto stipulato a Londra nel 1915 tra l’Italia e i paesi dell’Intesa non soltanto non prendeva in considerazione le differenze tra le richieste di frontiere naturali e storiche, nel modo in cui erano percepite dai movimenti che lottavano per i diritti dei loro popoli, ma non prendeva in considerazione nemmeno l’eterogeneità dell’Impero Austro-ungarico, il peso e il ruolo delle nazioni slave, perché la loro cultura e la loro storia erano in Italia quasi sconosciute. Per questo motivo è importante quanto afferma Leoncini sul ruolo di Mazzini e dei suoi seguaci, che appoggiavano il punto di vista dei popoli slavi nella loro lotta per la liberazione nazionale in contrasto con le posizioni dei rappresentanti del governo e dei nazionalisti dalle visioni imperialiste sul futuro dell’Italia.

Leoncini ha tentato di ricostruire il processo in cui la corrente mazziniana risorgimentale si è manifestata appieno nel corso della prima guerra mondiale, quando ai comitati dei fuoriusciti dalla monarchia asburgica formatisi in Europa occidentale venne riconosciuto il diritto alla lotta per l’indipendenza delle loro nazionalità. Ha voluto anche sottolineare come questa trasformazione si saldasse con le aspirazioni di quei paesi che desideravano creare stati indipendenti al di fuori dell’egemonia austro-ungarica e quanta importanza ciò avesse per la rinnovata strategia internazionale dell’Italia.

La visione di Mazzini di un’Italia unita e libera veniva sempre collegata con la libertà di tutta l’Europa ed era questo il motivo per cui aveva fondato non soltanto la «Giovine Italia», ma già nel 1834 anche la prima comunità internazionale democratica, la «Giovine Europa». Per noi è importante sapere che Mazzini, a differenza dalla maggioranza dei politici italiani, ha dedicato una grande attenzione alle nazioni slave e al loro impegno per la parità, ricordato già nel 1848 nel suo articolo Del Moto Nazionale Slavo [era inesatto il termine nell’originale] e sviluppato nel 1857 nelle sue Lettere slave e di nuovo ripetuto in uno dei suoi ultimi scritti Politica Internazionale del 1871. Nelle Lettere Slave prendeva in esame le federazioni di popoli piuttosto che ridotte unità statali, che sarebbero state troppo piccole e troppo deboli nel contesto internazionale.

Nella Grande Illiria Mazzini includeva la Croazia, la Carinzia, la Serbia, il Montenegro, la Dalmazia, la Bosnia e la Bulgaria. Egli riuniva gli slavi in quattro gruppi: polacchi, russi, cechi e slovacchi e gli slavi del sud. Non era d’accordo sull’unione degli slavi dell’Europa centrale con la Russia, perché in tal modo si sarebbero avuti invece di 40 milioni di persone libere dai Balcani all’Adriatico, che avrebbero costituito una barriera contro il dispotismo russo, 100 milioni di succubi di una sola volontà tirannica. Il messaggio mazziniano del rispetto delle nazioni, piccole e grandi, in contrasto con la politica imperialista ha ispirato un gruppo di storici, politici e giornalisti italiani i quali nel corso della Prima Guerra mondiale sostennero la lotta per la libertà dei popoli slavi.

Nel 1914 Umberto Zanotti-Bianco, influenzato dalle idee mazziniane, fondò la Collana «La Giovine Europa» dove venivano pubblicate opere, che informavano l’opinione pubblica sui movimenti nazionali della regione danubiana e dei Balcani.

Quando l’Italia ha denunciato l’alleanza con gli Imperi Centrali, personalità quali Leonida Bissolati, Giuseppe Antonio Borgese, Gaetano Salvemini, Giovanni Amendola ovvero Luigi Albertini del «Corriere della Sera» riaffermarono l’attualità di tale questione

Il Mazzini dei Cechi

Il messaggio di Mazzini è stato ripreso anche da T.G. Masaryk che nei suoi ricordi lo riporta come fonte di idee rivoluzionarie. Il centro della sua visione similmente a Mazzini, è l’interpretazione democratica dell’autodeterminazione nazionale, basata sugli ideali dell’umanità, democrazia e tolleranza. Leoncini percepisce Masaryk come mazziniano di seconda generazione. Richiama l’opera di Masaryk La Russia e l’Europa, pubblicata in Germania prima della guerra e tradotta in italiano nel 1925.

Il ruolo dell’Europa centrale di Masaryk, area che va dal Baltico al Mare Egeo e che sta tra la Germania e la Russia, è simile a quello di Mazzini. Mazzini temeva la pressione del dispotismo zarista, Masaryk quella dell’espansionismo tedesco, per questo motivo proponeva una barriera latino – slava contro il pangermanismo. Anche lo storico italiano Gaetano Salvemini ha definito Masaryk “Il Mazzini dei Cechi” e sosteneva che gli stati danubiani, così come l’Italia, hanno interesse a unirsi per poter far fronte all’egemonia tedesca, che prima o dopo si sarebbe concretizzata.

I rappresentanti di questa corrente mazziniana si scontrarono però con l’incomprensione di gran parte dell’opinione pubblica italiana e dei rappresentanti del governo che non volevano la distruzione dell’Impero Austro – ungarico e restavano fermi sulle richieste territoriali come erano state formulate nel Patto di Londra, che nella zona balcanica prevedevano l’acquisizione dei territori che si stendevano dall’Istria attraverso la Dalmazia fino alla Turchia.

Il rappresentante più caparbio di questa politica italiana fu il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, che tra l’altro era stato l’unico politico favorevole all’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Triplice alleanza. La posizione italiana è stata lungo tutto il periodo della guerra ambigua e l’approccio alle richieste dei popoli slavi volutamente sfuggente.

Lo illustra bene l’esempio del tenente sloveno Ljudevit Pivko, che con un gruppo di soldati sloveni e cechi propose un piano per fare in modo che nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1917 gli italiani potessero tentare di sfondare il fronte vicino a Carzano in Valsugana e arrivare alla liberazione di Trento. Il piano fallì a causa di contrattempi e in alcuni casi anche per l’incapacità di alcuni comandanti. Pivko, assieme ad un migliaio di suoi compatrioti passati dalla parte italiana, voleva creare un battaglione, ma esso non fu mai riconosciuto dagli italiani, così come non furono interessati a un’eventuale Legione adriatica, pur essendoci stati 20 mila uomini disposti a farne parte.

Pivko aveva rapporti d’amicizia con i militari cechi e slovacchi, che invece poterono creare una loro armata. Anche qui prese il sopravvento la posizione dei nazionalisti italiani, che pensavano che questi due movimenti potessero essere tenuti distinti. Nelle sue memorie Pivko afferma che,una volta arrivato a Verona, per delle settimane non incontrò nessuno che avesse avuto almeno una pallida idea degli slavi. Secondo gli italiani tutti gli abitanti dell’Impero Austro-ungarico erano austriaci e pure fu difficile far comprendere i nuovi termini quali “ceco” o “cecoslovacco”.

Gli italiani hanno assorbito lentamente i cambiamenti intervenuti in Europa centrale. Non tanto tempo fa pure l’autore di questo articolo ha incontrato un gruppo di quattro italiani, che continuavano a parlare della Cecoslovacchia, solo uno di loro, un po’ più informato, li ha corretti dicendo che nel frattempo la Cecoslovacchia si era divisa e che la capitale della Slovacchia era Praga…

Né saggio né conveniente

Nella nascita della Cecoslovacchia l’Italia ha giocato un ruolo importante e prevalentemente positivo, lasciandosi però sempre una via d’uscita aperta. Il Primo Ministro Orlando alla Conferenza delle nazionalità oppresse svoltosi a Roma nell’aprile 1918 si presentò con un discorso enfatico a loro favore, dedicando parole particolarmente lusinghiere a Štefánik, ma quando, più per volontà di alcuni giornalisti britannici che non per quella del governo italiano, era stato deciso che la Conferenza si tenesse non a Parigi, ma a Roma, Orlando aveva cercato di tenersi fuori dalla sua organizzazione e dopo la conferenza similmente a Sonnino non si sentì parte dell’iniziativa, che avrebbe dovuto portare al successo le aspirazioni dei rappresentanti dei comitati che vi avevano partecipato.

Lo stesso modo di procedere fu adottato alla Conferenza alleata del giugno 1918, quando nella dichiarazione finale, si volle che fosse riconosciuto soltanto uno Stato indipendente polacco con accesso al mare, senza nulla dire a proposito di uno Stato dei cechi, slovacchi o degli iugoslavi. Dopo la dichiarazione Beneš venne invitato all’Ambasciata italiana a Parigi dove Orlando e Sonnino gli fecero capire che l’esplicito riconoscimento dell’indipendenza dello Stato dei cechi e slovacchi li avrebbe costretti allo stesso approccio nel caso degli iugoslavi, fatto che avrebbe messo in pericolo gli interessi italiani.

L’Italia però non è stata l’unica ad avere una posizione poco chiara riguardo alle richieste delle popolazioni slave. Nessuno mette in dubbio il merito di Wilson per la nascita dei nuovi stati dell’Europa centrale, comunque nell’agosto 1917 quando Štefánik fu negli Stati Uniti Wilson non lo ricevette, come non ricevette i rappresentati del Comitato iugoslavo. Nel gennaio 1918 né gli Stati Uniti né la Gran Bretagna, né Francia pensavano alla disgregazione dell’Impero Austro ungarico.

In questa situazione i giornalisti britannici consigliarono ad Orlando come far uscire l’Italia da una situazione complicata, dal momento che le potenze non manifestavano molta comprensione per le pretese territoriali italiane, vale a dire di ritornare alle tradizioni di Mazzini e Cavour e di mettersi alla testa dei popoli oppressi in Austria, perché in tal caso gli alleati sarebbero stati costretti, conformemente ai loro impegni, ad appoggiare la lotta per la libertà delle nazioni e riconoscere la posizione guida dell’Italia, cosa che interessava anche la Francia.

Beneš nelle sue memorie è arrivato alla stessa conclusione. Secondo lui la politica di Sonnino durante la guerra non è stata né saggia né conveniente, nemmeno dal punto di vista italiano. Era convinto che se l’Italia avesse preso una posizione più aperta nei confronti degli iugoslavi, si sarebbe risparmiata le complicazioni che ha dovuto affrontare alla conferenza di pace dopo la guerra e sarebbe diventata una potenza mondiale perché per l’opinione pubblica mondiale avrebbe acquistato il prestigio di un paese forte e generoso.

Vittoria mutilata

Quest’anno si parlerà di più della conferenza della pace di Parigi del 1919, dove già abbiamo potuto avere i nostri rappresentanti di uno Stato sovrano. L’Italia non ha colto l’occasione e non ha presentato questo fatto come un successo, perché fino all’ultimo non è riuscita a rinunciare alla tentazione imperialista e a causa della delusione per i risultati territoriali ha cominciato a definire il suo contributo alla conclusione della guerra come una “vittoria mutilata”.

Per noi l’anno che viviamo ha un sapore agrodolce perché ricorrono anche i cento anni dalla morte della persona che più di tutti ha contribuito alla nostra indipendenza come Stato, Milan Rastislav Štefánik, il cui suo ultimo viaggio è iniziato proprio in Italia.